Adesso è forse il tempo della cura.
Dell’aver cura di noi, di dire
noi. Un molto largo pronome
in cui tenere insieme i vivi,
tutti: quelli che hanno occhi, quelli
che hanno ali, quelli con le radici
e con le foglie, quelli dentro i mari,
e poi tutta l’acqua, averla cara, e l’aria
e più di tutto lei, la feconda,
la misteriosa terra. È lì che finiremo.
Ci impasteremo insieme a tutti quelli
che sono stati prima. Terra saremo.
Guarda lì dove dialoga col cielo
con che sapienza e cura cresce un bosco.
Si può pensare che forse c’è mancanza
di cura lì dove viene esclusa
l’energia femminile dell’umano.
Per quella energia sacrificata,
nella donna e nell’uomo, il mondo
forse s’è sgraziato, l’animale
che siamo s’è tolto un bene grande.
Chi siamo noi? Apriamo gli occhi.
Ogni millimetro di cosmo pare
centro del cosmo, tanto è ben fatto
tanto è prodigioso.
Chi siamo noi, ti chiedo, umane e
umani? Perché pensiamo d’essere
meglio di tutti gli altri? Senza api
o lombrichi la vita non si tiene
ma senza noi, adesso lo sappiamo,
tutto procede. Pensa la primavera scorsa,
son bastati tre mesi – il cielo, gli animali
nelle nostre città, la luce, tutto pareva
ridere di noi. Come liberato
dall’animale strano che siamo, arrivato
da poco, feroce come nessuno.
Teniamo prigionieri milioni e milioni
di viventi e li maltrattiamo.
Poi ce li mangiamo, poveri malati
che a volte non sanno stare in piedi
tanto li abbiamo tirati su deformi –
per un di più di petto, per più latte.
Chi siamo noi ti chiedo ancora.
Intelligenze, sì, pensiero, quelli con le
parole. Ma non vedi come non promettiamo
durata? Come da soli ci spingiamo fuori
dalla vita. Come logoriamo lo splendore
di questo tiepido luogo, infettando
tutto e intanto confliggiamo fra di noi.
Consideriamo il dolore degli altri
e delle altre specie.
E la disarmonia che quasi ovunque portiamo.
Forse imparare dall’humus l’umiltà. Non è
un inchino. È sentirsi terra sulla nobile terra
impastati di lei. Di lei devoti ardenti innamorati.
Dovremmo innamorarci, credo. Sì.
Di ciò che è vivo intorno. E in primo luogo
vederlo. Non esser concentrati
solo su noi. Il meglio nostro di specie
sta davanti, non nel passato. L’età
dell’oro è un ricordo che viene
dal futuro. Diventeremo cosa? È una
grande avventura, di spirito, di carne,
di pensiero, un’ascesa ci aspetta.
Eravamo pelo musi e code.
Diventeremo cosa?
Diremo io o noi? E quanto grande il noi
quanto popolato? Che delicata mano
ci vuole ora, e che passo leggero, e mente
acuta, pensiero spalancato al bene. Studiamo.
Impariamo dal fiore, dall’albero piantato,
da chi vola. Hanno una grazia che noi
dimentichiamo. Cura d’ogni cosa,
non solo dell’umano. Tutto ci tiene in vita.
Tutto fa di noi quello che siamo.
(Mariangela Gualtieri – “Adesso”)