Malva sylvestris |
Sono varie le parole che più mi rimandano a questa quarantena, non riuscirei a trovarne solo una perché i giorni passati in casa sono stati innumerevoli, ben tre mesi.
Tornando indietro con la mente all’otto marzo, la prima cosa che mi salta
in mente è la paura: la mia non era paura della malattia o di contrarla, quanto
piuttosto dell’ignoto e quindi di tutto ciò che ancora non conoscevo. Erano
poche e imprecise le notizie in nostro possesso e all’istante il mio pensiero è
andato ai miei nonni e all’impossibilità che avevo di proteggerli: è ormai da
metà febbraio che non li vedo, perché nonostante abitino vicino, risiediamo in due differenti
comuni, io sotto Montiano e loro sotto Cesena. Quanto avrei desiderato in quei
giorni abitare a Cesena, solo per vederli da lontano e chieder loro come
stavano. Purtroppo, però, non mi era concesso e, seppur io desiderassi
constatare con i miei occhi che stessero bene più di ogni altra cosa, non ho
infranto alcuna regola.
Un’altra mia paura era che, da un giorno all’altro,
uscissero notizie sempre peggiori riguardanti il numero di contagi.
Ahimè, forse per il mio fare un po’ pessimista, tutt’oggi la paura mi
accompagna: invidio coloro che credono che dal 18 maggio siamo tornati alla
normalità, alla vita frenetica e spensierata di qualche tempo fa, ma io non
riesco proprio a rientrare in questa categoria.
Ho voglia di vedere i miei
amici, ma spero di ritrovarli più consapevoli di prima e non troppo ottimisti o
pieni di false speranze, perché in un solo secondo potremmo tornare
all’assoluta reclusione che abbiamo vissuto per due mesi.
Un’altra parola che mi viene in mente è pensiero, perché è dai pensieri che
nasceva la mia paura.
La riflessione è stata la mia migliore amica, una compagna in grado di
risollevarti e talvolta la mia peggior nemica, che non faceva altro che
riempirmi la testa di pensieri, preoccupazioni e tirarmi giù di morale. Pensare
può aiutare, ma può anche consumare.
Il pensiero che più mi ha tormentata era come avrei fatto a resistere così
tanto tempo in casa, senza vedere e abbracciare alcuna persona se non i miei
familiari. Quell’otto marzo, anche se sembra esagerato, mi è scoppiato il cuore
a causa della tristezza. Mi tornava alla mente la sera prima del lockdown
trascorsa con le mie più care amiche e i rimorsi di non essermela goduta appieno.
Credo che un po’ tutti coloro che hanno trascorso la quarantena, quest’estate,
si godranno ogni serata come fosse l’ultima.
La terza parola che mi rappresenta è attesa, di novità, di notizie
positive, di dati in calo, ma anche attesa di un ritorno ai bei tempi in cui
frequentare il liceo era un peso, allenarsi era un passatempo e uscire un
piacere. Divertirsi è un privilegio di cui mi sono in parte dimenticata, che
sono sicura non darò più per scontato.
Infine, la parola principale è essenziale: lungo queste settimane, seppur forse sia scontato ripeterlo, abbiamo sperimentato l’essenzialità. Le cose per me
essenziali sono poche, ma attribuisco loro un’enorme importanza e da oggi in
poi le terrò sempre vicine.
Maria Sole
24 maggio 2020
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